Gay contro gay

Il disprezzo dei gay contro i gay: la nuova guerra dell'HIV

Iniziano a sentirsi i primi colpi di una nuova battaglia: chiamare un ragazzo HIV-negativo gay "una zoccola da Truvada" semplicemente per aver scelto una soluzione preventiva con un tasso di efficacia superiore a quello dei preservativi; indignarsi se qualcuno dice che l'AIDS è ancora un problema gay; andare alla polizia quando si scopre che il ragazzo da cui si è stati piantati è sieropositivo; mettere "sano, cerco sani" nel proprio profilo online; partecipare alle lapidazioni digitali nelle sezioni dei commenti online quando un ventenne si azzarda a dichiararsi HIV-positivo; ragazzi HIV-negativi che fanno bareback con quelli che dicono loro di essere negativi ed evitano i pochi coraggiosi che ammettono di essere positivi. Questi sono solo alcuni esempi della nuova guerra dell'HIV, con il suo disprezzo dei gay contro altri gay.

Lo stigma legato all'HIV peggiora sempre di più. Non quello esterno, per il quale la società è in preda al panico per la nuova peste: fortunatamente, sono finiti i giorni in cui si rischiava di essere evitati dagli inservienti ospedalieri o dalle agenzie di pompe funebri. Ma preferirei quel tipo di stigma al marchio di oggi: quello almeno sapevo come combatterlo. Lo stigma interno di oggi, per il quale una comunità rifugge sé stessa, è apparentemente intrattabile e molto più distruttivo.
Mi spezza il cuore vedere che il peggiore stigma per l'HIV proviene dalla mia comunità: gli uomini gay. Non è stato sempre così. Potrebbe sorprendere i gay più giovani oggi sapere che tra di noi c'era pochissimo stigma per l'HIV durante i primi anni della crisi. Almeno io ho provato il contrario dello stigma quando ho rivelato pubblicamente il mio status alla fine degli anni '80 e i gay con l'HIV ricevevano amore e sostegno. Dopo il saldo radicamento del vangelo del sesso sicuro, anche la fuga dai rapporti sessuali divenne rara. Forse era per i nostri numeri, visto che la metà degli uomini gay di New York e di San Francisco era sieropositiva nel 1985. Forse era perché molti di noi non potevano nasconderlo, visto che l'HIV si manifestava dolorosamente come AIDS. Forse era la nostra lotta comune, essendoci sollevati contro un governo che ignorava la nostra sofferenza.
Indipendentemente dalle ragioni, ci sentivamo una sola comunità. Tutti vivevamo con l'HIV, indipendentemente dallo stato. Mi rendo conto che questa visione è distorta, essendo vissuto in una città dove le norme sociali erano fortemente influenzate da ACT UP e da altre risposte della comunità alla crisi. Gli inizi dello stigma per l'HIV dei gay contro i gay poteva probabilmente trovarsi già allora in altre città. Ma oggi sembra essere la norma, indipendentemente dal luogo.
Ora che puoi prendere le tue pillole tenendolo nascosto e ora che abbiamo avuto almeno una generazione di uomini gay che non hanno mai visto l'AIDS, è sparita da tempo la sensazione che tutti viviamo con l'HIV. La cultura del sesso sicuro, per cui si presume sempre che la persona con cui vai a letto è positiva, è stata sostituita con la cultura del sesso bareback, dove il rischio è magicamente ridotto con i tentativi profondamente sbagliati di siero-discriminazione. I problemi sono nascosti perché l'HIV adesso è nascosto, per colpa di test inadeguati, o per colpa del nascondiglio molto affollato dell'HIV in cui molti oggi scelgono di vivere.
Il risultato è un circolo vizioso in cui lo stigma per l'HIV causa la crescita dell'HIV mentre nasconde i suoi danni instillando paura e vergogna nei nuovi infetti. Il loro conseguente silenzio fa sembrare l'HIV raro ed evitabile, dando spazio allo stigma per la generazione successiva. Gli attivisti dell'AIDS stanno cercando ormai da anni di rompere questo ciclo, ma sembra con pochi risultati. Ci sono innumerevoli campagne pubblicitarie, online e non, ma cadono nel vuoto. Evitare l'HIV sembra anche voler dire evitare una discussione sull'HIV, girando pagina, senza preoccuparsi di cliccare su un grafico o un link che anche solo accenna a quella peste combattuta molto tempo fa. Lo stigma si protegge.
Si può fare qualcosa per cambiare questo triste status quo? Visto il nostro stato di stanchezza sull'AIDS ormai radicato, sto iniziando a pensare che la guerra allo stigma per l'HIV sia persa. A ogni modo, cerchiamo di continuare a combattere, anche solo per fare in modo che non peggiori sempre di più. Ma la cosa importante è che possiamo ancora vincere la guerra contro l'HIV. La storia recente offre molte prove del fatto che gli interventi persistenti della sanità pubblica possono superare livelli notevoli di resistenza sociale.
La pressione internazionale per l'eliminazione della polio ha dato risultati sorprendenti dal 1988, quando era endemica in 125 paesi. Oggi si è scesi ad appena tre e l'eliminazione totale sarà possibile entro il 2018. Grazie alla direzione del Carter Center, la dracunculiasi è destinata a diventare la seconda malattia umana nella storia, dopo il vaiolo, a essere debellata. La campagna contro di essa è stata lanciata nel 1986 e l'incidenza della malattia è scesa dal 99,9 per cento e sarà la prima malattia vinta senza l'uso di un vaccino o di un trattamento medico. Se siamo in grado di spazzar via la polio dall'India con la sua estrema povertà (nessun caso segnalato dal 2011) o eliminare la dracunculiasi nell'Afghanistan dilaniato dalla guerra (nessun caso dal 2007), allora possiamo anche diminuire l'incidenza dell'HIV negli Stati Uniti.
Quello che serve sono gli interventi concordati della sanità pubblica e il denaro per finanziarli. Abbiamo gli strumenti per ridurre l'incidenza dell'HIV (il "trattamento come prevenzione" o TasP; l'appiattimento della "treatment cascade"; la profilassi pre-esposizione o PrEP, etc.), dobbiamo solo applicarli. In alcuni luoghi si sta già dimostrando: a Washington, D.C., si è iniziato uno sforzo congiunto nel 2006 con risultati molto promettenti. Le nuove infezioni di HIV sono crollate del 46 per cento dal 2007. A detta di tutti, lo stigma per l'HIV è ancora vivo e vegeto nella capitale degli Stati Uniti, ma stanno lavorando su questo.
Dobbiamo lottare contro l'apatia, l'ignoranza e lo stigma che continuano. Mentre gli uomini gay moralisti e bacchettoni cercheranno sicuramente di rallentarci, gli attivisti dell'AIDS e i loro alleati della sanità pubblica alla fine vinceranno questa guerra. Quindi, se stai combattendo questa battaglia giusta e ricevi qualche contraccolpo dallo stigma, battiti ancora più duramente. Dai un bello schiaffo a quel dito puntato in faccia, ignora gli idioti moralisti online e trova la forza dai tuoi alleati in questa lotta. E sappi che, quando questa crisi sarà finalmente finita, saranno ricordati due tipi di persone: quelli che hanno combattuto per farla finire e quelli che ci hanno rallentato.


Peter Staley – AIDS and gay rights activist
Huffingtonpost.com – 28 febbraio 2014
http://www.huffingtonpost.com/peter-staley/gay-on-gay-shaming-the-new-hiv-war_b_4856233.html